A due anni dall’inizio delle Olimpiadi invernali 2026, parliamo dell’eterno sconfitto nella classifica della dignità: IL LAVORO. Chi tenta di contestare o semplicemente di interrogarsi sul reale impatto in termini di sostenibilità – ecologica ed economica – delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, viene tacciato di essere “contro lo sport, contro nuove infrastrutture, contro lo sviluppo contro il turismo, contro il lavoro” (Salvini dixit). Ma come ben sappiamo qui la questione non è amare oppure no lo sport. Come facciamo infatti a parlare di una cosa bella e che fa bene, quando molte città stanno raggiungendo i 50 gradi, gli abitanti delle montagne soffrono e le procedure per le opere infrastrutturali ritenute “necessarie” vengono ‘snellite’ ad hoc, dopo frettolose revisioni al rialzo dei costi (e magari pure la richiesta di fare un po’ finta di niente alla magistratura), come successe per Expo? Come celebrare la sacrosanta importanza dello Sport, quando costruire il Villaggio olimpico o la strada che vi ci porta, ha significato per qualcuno lavorare in condizioni disumane, insicure, precarie? In che modo possiamo gioire per la vincita di una medaglia, quando gli operatori che sui territori provano a garantire a noi e alle nostre figlie e figli il diritto di praticare le varie attività sportive, vengono pagati una miseria e restano precari a vita?